Amarcord del tifoso. Confessione & pentimento

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Nube di Tempesta
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Amarcord del tifoso. Confessione & pentimento

Messaggio da Nube di Tempesta »

La nuovissima rubrica del forum in cui ci si confessa e si racconta a tutti qualcosa della vita da tifoso di cui ci si è poi pentiti.

...In quel fatale giorno di Lecce non avevo nemmeno 17 anni, li avrei compiuti dopo due o tre mesi. Ero andato insieme agli altri tredicimila a vedere la partita con mio padre e un mio cugino australiano venuto in visita in Italia proprio in quei giorni, lui tifoso del Marconi Sydney che non aveva mai visto all'opera una tifoseria europea (e noi all'epoca eravamo seriamente avanguardia).
Va premesso che prima della partita intervenni a sedare una mezza rissa sotto la nostra curva: un leccese si era avvicinato a tre-quattro dei nostri, lì in mezzo alle altre migliaia, e gli aveva detto "oggi perdete due a zero". Quelli senza rispondere nulla avevano preso a paliàrlo come si fa con la cuccagna, contro un muro. Gliel'ho tolto dalle mani dicendogli aspramente che non era il caso di rovinare una giornata di sport così importante per la nostra storia con l'oscura ombra della truce violenza.
Lungo la via del triste ritorno, imbottigliati nel traffico di Lecce, incrociavamo le prime macchine targate Cosenza coi parabrezza sfasciati (la nostra si era salvata perché l'avevamo lasciata nel parcheggio custodito dalla polizia). Nel viale che dal Via del Mare conduceva in centro ci costeggia un ragazzino (dodici anni circa), basso, mingherlino, quasi macilento, capelli ricci nerissimi, con una bandierona giallorossa che era il triplo di lui, che percorreva a piedi lo stesso viale cantando a squarciagola Cosenza vaff* senza mai fermarsi. Mai. Manco per prendere fiato.
Fermi nel traffico, ce lo sorbiamo per circa un minuto, lui che cammina e canta, noi in macchina a passo d'uomo che lo sentiamo in silenzio rimuginando. Mio padre a un certo punto dice "mò scendo dalla macchina e ci mignu na palat'ara capu". Ovviamente non l'ha fatto e abbiamo proseguito.

Ci fermiamo in un bar di Lecce a prendere un caffè. Uno di quelle specie di chioschetti che hanno a volte i servizi igienici in una struttura attigua. Mentre mio padre e mio cugino sono dentro, esco, forse per andare in bagno.
Sull'altro marciapiede arriva lui, preceduto di due minuti dalla bandiera enorme che ancora sventolava indefesso. E sempre cantando Cosenza vaff*. Stava andando avanti almeno da un quarto d'ora, felice come una Pasqua.
Pochi passanti, strada soprattutto di macchine che scorrono. Mio padre e mio cugino ancora dentro. Non so cosa sia scattato. Attraverso la strada e mi dirigo verso di lui. Non so bene a che punto lui capisca (si gira, mi vede arrivare, avevo una maglia rossoblu ma era quella del Barcellona), sicuramente però la consapevolezza la acquisisce quando mi guarda negli occhi e nota il mio sguardo di fuoco.
Non ci fu una sola parola, gli feci solo uno scatriatone esemplare (nel senso che gli fu d'esempio per il futuro e gli insegnò quanto possa toccarci da vicino il tragico fenomeno della violenza negli stadi, anche se lo stadio era ormai lontano). Un paio di pugni in faccia, poi, quando è caduto a terra, gli sono salito di sopra e gliene ho date ancora per circa trenta secondi.
Poi mi sono reso conto di cosa stessi facendo, mi sono alzato e sono scappato. Sono tornato al bar, siamo risaliti in macchina, mio padre e mio cugino che non sapevano nulla, siamo ripartiti per Cosenza e per quanto ne posso sapere il dodicenne circa è ancora lì per terra, anche se adesso di anni ne avrà qualcuno in più.

Poi me ne sono pentito, ho sempre avvertito il pentimento e il rimorso in questi anni e oggi confesso. Mi pento da allora per quello che ho fatto.
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Re: Amarcord del tifoso. Confessione & pentimento

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