A Manchester un altro “United”, la squadra che dice no al calcio moderno.
Nel 2005, in segno di protesta contro la scalata da parte del magnate americano Glazer, un gruppo di supporters dei Red Devils ha deciso di fondare un nuovo club. Oggi l'utopia continua: "Dimostreremo che i tifosi possono possedere e gestire una società di calcio".
Fc United of Manchester. Non è un refuso, non è la stessa cosa del Manchester United. I colori sociali sì, il nome più o meno. Ma non la storia: comincia nel luglio del 2005, quando nasce “un nuovo club di calcio fondato dai tifosi delusi del Manchester United”. Oggi ha da poco compiuto otto anni, milita nella Premier Division della Northern Premier Leauge (settima divisione del calcio inglese, equivalente della nostra Promozione) e continua a coltivare la sua utopia.
“Il nostro obiettivo – spiega al fattoquotidiano.it Andy Walsh, general manager dello United – era creare un club sostenibile a lungo termine, democraticamente gestito dai tifosi, che appartenesse per davvero a tutta la comunità di Manchester. E ci siamo riusciti”. La squadra, infatti, è sorta in seguito ad un evento ben preciso: la scalata dell’americano Malcolm Glazer alla proprietà del Manchester United. “E’ stata l’ultima goccia di un processo cominciato anni fa, che ha trasformato una passione in un business. In cui non ci riconoscevamo più”. Di qui l’idea: fondare un nuovo Manchester. Che tornasse all’antico e ai suoi veri proprietari: i tifosi. Sono oltre 3mila ogni anno, quelli dello United. E sono anche soci. Ogni membro ha uguale diritto di voto in tutte le decisioni: dalle elezioni dei dirigenti al design della maglia, passando per la scelta delle tariffe degli abbonamenti, dello staff e dei giocatori. Persino logistica e amministrazione sono gestiti internamente, con un’apposita suddivisione degli incarichi. Tutti volontari – a parte il gm Walsh e Linsday Howard, segretario del club –, lavorano nella sede sociale a Ancoats, una fabbrica abbandonata riconvertita a ufficio.
Il segreto del successo dello United, secondo Walsh, è presto detto: “Offriamo un calcio alla portata di tutti, genuino dal punto di vista dei sentimenti e della gestione”, spiega Walsh. La media spettatori nell’ultima stagione è stata di circa 2mila tifosi a partita. Nel 2010, per la sfida di Fa Cup contro il Brighton and Hove Albion (club di Serie B inglese, la partita più importante della breve storia dello United) c’erano quasi 7mila persone sugli spalti. Numeri che in Italia a volte non si fanno neanche in Serie B. “Ci seguono tutti quelli che sono disgustati dalle logiche del calcio moderno; o che, tra pay tv e stadi sempre più cari, semplicemente non se lo possono più permettere. E non sono pochi, di questi tempi”, spiega il gm. Un abbonamento annuale allo United costa infatti solo 90 sterline (il pacchetto più economico per il ‘vero’ Manchester supera le 500£); e in più qui il tifoso non è solo spettatore ma parte attiva della società. Con questi soldi (cui si aggiungono le donazioni libere) e nient’altro – lo United ripudia qualsiasi tipo di sponsorizzazione – si sostenta il club. Il budget, comunque, è di tutto rispetto: complessivamente, circa 750mila sterline l’anno.
Anche da queste cifre si capisce l’importanza del progetto United. “Abbiamo un piano e ambizioni a lungo termine. Benché l’obiettivo fondamentale sia creare un esempio di calcio sostenibile, siamo convinti che il nostro modello possa portare anche a buoni risultati”. E il campo fin qui gli ha dato ragione: tre promozioni consecutive dal 2005 al 2008; e negli ultimi tre anni tre finali playoff perse consecutivamente (l’ultima in maniera davvero rocambolesca, con due gol subiti nei minuti di recupero). “Solo sfortuna, saliremo ancora”, è sicuro Walsh.
Per ora la squadra gioca a Gigg Lane, a Bury. Presto, però, avrà una casa tutta sua: parte fondamentale del progetto è la costruzione dello stadio di proprietà. “Sorgerà a Moston e costerà circa 5,5 milioni di sterline. In questi anni abbiamo raccolto già due milioni, grazie alla generosità dei nostri supporters”. In futuro, dunque, la città di Manchester potrebbe avere un’altra squadra professionistica. “Ma – afferma Walsh – anche se dovessimo raggiungere livelli importanti non cambieremo il nostro modo di essere”. Il manifesto del club, infatti, parla chiaro: la società è e resterà sempre un’organizzazione no profit. “Abbiamo una lezione da spiegare al mondo del calcio: i tifosi possono possedere e gestire con successo una società calcistica. Le squadre sono state ‘sottratte’ ai loro unici, veri proprietari. Noi ci siamo riappriopriati di quello che ci era stato tolto, e vogliamo essere da esempio per tutti”. ‘No al calcio moderno’ non significa rinunciare alla passione per il football. Lo dimostrano i tifosi del Manchester. Anzi, dello United of Manchester.
Lorenzo Vendemiale - Il Fatto Quotidiano del 23 luglio 2013.