Concorsi Pubblica amministrazione, Non solo voto laurea, conta l’ateneo.
L’emendamento al ddl della Pa presentato da Marco Meloni ha sollevato le polemiche degli studenti. Dubbi sull’opportunità di affidare la valutazione degli atenei all’Anvur.
Nei concorsi pubblici a fare la differenza non sarà più solo il voto di laurea, ma potrà contare anche l’università. Così un emendamento, appena approvato, al disegno di legge della Pubblica amministrazione in discussione in commissione in seconda lettura alla Camera, che parla di «superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l’accesso» e «possibilità di valutarlo in rapporto ai fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato». La proposta, che ha subito scatenato un polverone, nasce dall’idea di far sì che le barriere di accesso ai concorsi non siano determinate solo da fattori puramente numerici, ma anche da fattori inerenti alla qualità e alle caratteristiche dell’istituzione che ha rilasciato il titolo. Se ad esempio un ateneo ha la media degli studenti che si laurea con il 90, non potrà essere considerata identica ad un’altra dove la media dei candidati si laurea con il 109: evidentemente i criteri di valutazione sono diversi, e bisogna tenerne conto quando si considerano i voti. Tanto più che le barriere dei concorsi potrebbero condizionare a monte le scelte dei maturandi, spinti a frequentare atenei più «larghi di maniche» ma meno selettivi, puntando a voti alti, e a disdegnare quelli più interessanti, più formativi ma anche più parchi di voti alti. La questione è «aperta» L’emendamento presentato da Marco Meloni alla Camera dei deputati rischia di sollevare polemiche anche nell’ambito universitario, dove la valutazione non è ancora stata ancora standardizzata con efficacia. «In realtà la valutazione esiste, ed è quella dell’Anvur, ma non so se il governo la userà», spiega Meloni. «L’importante - sottolinea l’on.Pd - è che si introducano elementi che premino davvero le competenze e la preparazione. Ora vedremo come il governo declinerà questo proposito nel decreto legislativo che seguirà alla delega». Cauto per ora il ministero della Funzione Pubblica, che fa sapere che l’idea è di tener conto non solo del voto ma anche di altri fattori, e l’ateneo potrebbe essere uno di questi: ma che si tratta di una «questione aperta» su cui si ridiscuterà in Aula e sulla quale verranno raccolti idee e contributi. Gli studenti: «Norma classista» Si ribellano all’ipotesi le associazioni di studenti. L’Unione degli universitari parla di «previsione normativa gravissima perché determinerà per la prima volta una differenziazione dei titoli di laurea tra le diverse università pubbliche». Il dubbio che emerge riguarda le modalità per attribuire «i diversi valori»: «Ad oggi la strada più probabile è che si prendano in considerazione i parametri dell’ANVUR, già utilizzati per la quota premiale del finanziamento degli atenei- nota il presidente Gianluca Scuccimarra - ma questi indicatori, oltre ad essere basati per oltre l’80% sulla valutazione di attività di ricerca, dunque completamenti scollegati dalla didattica degli studenti, sono anche fortemente contestati rispetto all’effettiva capacità di “misurare” la qualità». Secondo Link coordinamento universitario, invece la norma è «una variante dell’abolizione del valore legale del titolo di studio»: «Questa norma classista rappresenta un ulteriore attacco agli studenti e a quegli atenei, soprattutto del sud, già oggi fortemente penalizzati per via delle scarsissime risorse che ricevono dal Fondo di Finanziamento Ordinario». ] Nei concorsi pubblici a fare la differenza non sarà più solo il voto di laurea, ma potrà contare anche l’università. Così un emendamento, appena approvato, al disegno di legge della Pubblica amministrazione in discussione in commissione in seconda lettura alla Camera, che parla di «superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l’accesso» e «possibilità di valutarlo in rapporto ai fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato». La proposta, che ha subito scatenato un polverone, nasce dall’idea di far sì che le barriere di accesso ai concorsi non siano determinate solo da fattori puramente numerici, ma anche da fattori inerenti alla qualità e alle caratteristiche dell’istituzione che ha rilasciato il titolo. Se ad esempio un ateneo ha la media degli studenti che si laurea con il 90, non potrà essere considerata identica ad un’altra dove la media dei candidati si laurea con il 109: evidentemente i criteri di valutazione sono diversi, e bisogna tenerne conto quando si considerano i voti. Tanto più che le barriere dei concorsi potrebbero condizionare a monte le scelte dei maturandi, spinti a frequentare atenei più «larghi di maniche» ma meno selettivi, puntando a voti alti, e a disdegnare quelli più interessanti, più formativi ma anche più parchi di voti alti.
La questione è «aperta»
L’emendamento presentato da Marco Meloni alla Camera dei deputati rischia di sollevare polemiche anche nell’ambito universitario, dove la valutazione non è ancora stata ancora standardizzata con efficacia. «In realtà la valutazione esiste, ed è quella dell’Anvur, ma non so se il governo la userà», spiega Meloni. «L’importante - sottolinea l’on.Pd - è che si introducano elementi che premino davvero le competenze e la preparazione. Ora vedremo come il governo declinerà questo proposito nel decreto legislativo che seguirà alla delega». Cauto per ora il ministero della Funzione Pubblica, che fa sapere che l’idea è di tener conto non solo del voto ma anche di altri fattori, e l’ateneo potrebbe essere uno di questi: ma che si tratta di una «questione aperta» su cui si ridiscuterà in Aula e sulla quale verranno raccolti idee e contributi.
Gli studenti: «Norma classista»
Si ribellano all’ipotesi le associazioni di studenti. L’Unione degli universitari parla di «previsione normativa gravissima perché determinerà per la prima volta una differenziazione dei titoli di laurea tra le diverse università pubbliche». Il dubbio che emerge riguarda le modalità per attribuire «i diversi valori»: «Ad oggi la strada più probabile è che si prendano in considerazione i parametri dell’ANVUR, già utilizzati per la quota premiale del finanziamento degli atenei- nota il presidente Gianluca Scuccimarra - ma questi indicatori, oltre ad essere basati per oltre l’80% sulla valutazione di attività di ricerca, dunque completamenti scollegati dalla didattica degli studenti, sono anche fortemente contestati rispetto all’effettiva capacità di “misurare” la qualità». Secondo Link coordinamento universitario, invece la norma è «una variante dell’abolizione del valore legale del titolo di studio»: «Questa norma classista rappresenta un ulteriore attacco agli studenti e a quegli atenei, soprattutto del sud, già oggi fortemente penalizzati per via delle scarsissime risorse che ricevono dal Fondo di Finanziamento Ordinario».
Valentina Santarpia - http://www.corriere.it - 02/07/2015.
Ma se una riforma del genere l'avesse varata un governo di centro-destra???
Nuova norma concorsi pubblica amministrazione
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