http://www.notia.it/04/2014/dal-santeli ... ata-mario/
n Inghilterra, patria del calcio, passeggiando potrete trovare uno slogan del tipo: «Cosa sarebbe il calcio senza i tifosi?». Forse potremmo rispondere senza margine di errore: niente. Sì, perché senza la passione della gente il calcio avrebbe poco senso.
Nòtia vuole riportare la storia dell’essenza di questo “gioco”, della passione che scorre nel sangue. Di chi è dodicesimo uomo in campo: l’ultrà.
Non è un viaggio semplice, perché gli ultras hanno codici propri, stili di vita propri, regole ben definite. Ma hanno tanto cuore.
Il nostro viaggio parte dalla sede dell’Alkool Group di Cosenza dove Mario Molinari, 34 anni, uno dei leader storici del gruppo ci riceve e inizia a raccontarci il loro essere.
Con Mario affronteremo anche lo spinoso problema della tessera del tifoso di cui molti parlano e scrivono senza sapere, ma prima per scaldare i motori vogliamo farci raccontare qualcosa della sua vita di ultras accanto al Cosenza calcio.
Mario, da quando segui il Cosenza?
«In casa dal 1987 e in trasferta dal 1989. La prima in assoluto fu a Taranto, quando perdemmo la serie A per la classifica avulsa. Dal 1996 ho iniziato a partire da solo in trasferta e non mi sono più fermato».
Quante trasferte hai fatto al seguito della squadra?
«Oltre trecento. Sempre rappresentando l’Alkool Group che segue il Cosenza dal 1985 e che l’anno prossimo a giugno festeggerà trenta anni accanto ai lupi».
Quali sono le trasferte che ricordi con più piacere?
«Ci vorrebbero ore e un libro. Il 13 novembre 2000 ero a Cagliari al Sant’Elia e posso dirti che sono partito da solo per la Sardegna. Sono arrivato a Napoli, mi sono imbarcato per Olbia, poi in treno per sei ore fino a Cagliari e lì ho trovato gli altri. Era un posticipo del lunedì, finì 1-1 con gol di Modesto e Savoldi. Lunedì notte abbiamo dormito a Cagliari perché la nave partiva martedì alle 18. Il giorno seguente mentre passeggiavamo per la città, i cagliaritani ci assalirono più volte, ma ci siamo difesi bene ad ogni loro attacco. Abbiamo difeso lo striscione che abbiamo poi esposto orgogliosamente dalla nave che lasciava il porto. Sono partito di sabato e sono arrivato a casa mercoledì».
E dopo la terra sarda, altre avventure?
«Pistoiese-Cosenza, 23 dicembre 2000, una trasferta natalizia da brividi. Risultato finale 1-1 con gol indimenticabile di Riccardo Zampagna. Al ritorno alla stazione di Firenze abbiamo trovato cinquanta veronesi e sono iniziati gli scontri. Gli abbiamo preso due bandiere. Purtroppo una abbiamo dovuta consegnarla alla polizia, ma l’altra è stata portata a Cosenza come bottino di guerra e con immensa goduria posso mostrartela».
E della tre giorni “San Paolo” di Napoli e “Olimpico” di Roma, in coppa Italia con la Lazio, cosa ricordi?
«Tutto. Nei minimi dettagli. Era il settembre del 1998. Napoli-Cosenza terminò 1-2, prima vittoria storica al “San Paolo” con gol di Tatti e Riccio. Eravamo in 2 mila, partiti con un treno speciale. Appena arrivati in stazione, abbiamo avuto subito scontri con la polizia. All’arrivo allo stadio ancora scontri con i tifosi napoletani e la polizia. Ci siamo fatti valere. Al ritorno eravamo in estasi e tre giorni dopo eravamo in curva all’”Olimpico” di Roma per la gara di Coppa Italia contro la Lazio persa 2-1. Ma che goduria anche lì passare in vantaggio ed per esultare per la prima e unica volta all’”Olimpico”. Irripetibile. A Roma eravamo mille, ma sembravamo 10 mila».
Fin qui gli anni d’oro della serie B e sempre al seguito dei lupi. Negli anni bui della D, invece?
«Alkool Group sempre presente. Non siamo mai mancati. Anche quando non c’era lo striscione noi c’eravamo sempre. Ad Angri – in provincia di Salerno – ci lanciavano oggetti dai balconi. A Eboli, dove io purtroppo mancavo, è stata una caccia all’uomo. Hanno investito volontariamente un nostro ragazzo che è vivo per miracolo. Noi abbiamo reagito ed avevamo un’intera città contro. Credo sia una cosa che passerà alla storia. Eravamo ostaggi in quella città».
Torniamo a noi Mario, e iniziamo a discutere della fatidica tessera del tifoso.
«Ha diviso ancora di più gli ultras. Avremmo dovuto lottare tutti insieme con l’aiuto delle grosse tifoserie. Invece molti si sono tesserati quasi da subito. Qui a Cosenza volevano combatterla, ma non si è combattuta. Noi, insieme a pochissimi altri, abbiamo lottato fino alla fine. Arrivavamo a Barletta, a Taranto, a Gela e in tanti altri posti e rimanevamo fuori lo stadio esponendo lo striscione “No alla Tessera”, ma eravamo sempre i soliti e avevamo sempre le forze dell’ordine alle calcagna che ci mandavano via perché in quella situazione non potevamo stare. Macinavamo chilometri, superavamo ostacoli e rimanevamo fuori per essere fedeli al nostro ideale».
A Foggia cosa è successo? Raccontaci.
«Foggia è una data storica. Spartiacque. Siamo partiti in sedici in un pullman da cinquanta posti. Arrivati allo “Zaccheria” abbiamo cercato di entrare senza la tessera ma con documenti in mano ma per tutta risposta le forze dell’ordine ci hanno schedati e rimandati indietro. Ci hanno scortato fino a Bari. Durante il ritorno ci siamo chiesti dove fossero i ragazzi che cantavano in curva in casa “No alla Tessera”. Foggia è stata la classica goccia che ci ha fatto capire che a malincuore ma dovevamo tesserarci. La lotta, ahimé, non si fa coi cori. Ci siamo tesserati in occasione della trasferta di Chieti».
Cosa significa quindi tesserarsi e come si fa a farlo?
«Significa schedarsi. Si va allo store della società, si danno le generalità e si fa una foto segnaletica che viene trasmessa in questura. Successivamente viene dato il placet positivo o negativo per il relativo rilascio. In più si pagano sei euro ogni cinque anni che non so in quali tasche finiscano. Avendo la tessera puoi comprare i biglietti per andare in trasferta. Ma quando il prefetto vieta la trasferta l’utilità della tessera è nulla. Per me la tessera è l’ennesima pagliacciata italiana. Ha allontanato tutti dagli stadi, dove si entra con più difficoltà che su un aereo, e soprattutto ha aumentato gli incidenti perché alcuni di noi andando in tribuna si trovano a contatto con i tifosi locali. Tra l’altro oggi se commetti un reato sia dentro o fuori con tutte le telecamere che ci sono ti beccano di sicuro. Di regola dopo aver ricevuto un Daspo devono passare cinque anni per fare richiesta della tessera, ma non sono totalmente sicuro che accada sempre questo».
Concludendo Mario, vi siete dovuti a malincuore piegare al sistema.
«Noi non saremo mai schiavi di nessuno. Tanto meno della tessera, ma saremo sempre e solo schiavi di una passione che si chiama Cosenza. I nostri lupi e la nostra fede sopra tutto. La nostra è una grande curva che deve tornare ai fasti di un tempo. Tessera o meno. Perché Cosenza è forte e vincerà. E mai si arrenderà o piegherà».
SPORT 19/04/2014 , Giandomenico Sica