Svolta nel caso Cucchi: per la procura fu omicidio. Tutte le accuse ai carabinieri
Da Iacchite -17 gennaio 2017
“I carabinieri sono accusati di omicidio, calunnia e falso. Voglio dire a tutti che bisogna resistere, resistere, resistere. Ed avere fiducia nella giustizia”.
Così Ilaria Cucchi, in un post sul suo profilo Facebook, dopo la chiusura da parte della procura di Roma dell’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi, fermato per droga il 15 ottobre 2009 e morto una settimana dopo all’ospedale Pertini.
La procura di Roma ha chiuso l’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi (22 ottobre 2009) e ha contestato l’accusa di omicidio preterintenzionale ai tre carabinieri che lo arrestarono il 15 ottobre. I tre sono ritenuti responsabili del pestaggio del giovane geometra. Per altri due carabinieri sono ipotizzati i reati di calunnia e di falso.
La Procura di Roma ha contestato il reato di omicidio preterintenzionale ai tre carabinieri che arrestarono il geometra romano: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco. Secondo quanto emerso dall’inchiesta, secondo l’accusa, sarebbero loro ad aver colpito dopo l’arresto il giovane, con “calc*, schiaffi e pugni provocando una rovinosa caduta a terra con l’impatto al suolo della regione sacrale”.
Le accuse di falso e calunnia oltreché a Francesco Tedesco sono contestate al maresciallo Roberto Mandolini comandante della stazione Appia, dove dopo l’arresto Cucchi fu portato, mentre la calunnia è stata contestata al carabinieri Vincenzo Nicolardi.
Oltreché di omicidio preterintenzionale i tre carabinieri sono accusati anche di abuso di autorità per aver costretto Cucchi a subire “misure di rigore non consentite dalla legge” con l’aggravante di aver commesso il fatto per futili motivi riconducibili alla resistenza posta in essere da Cucchi al momento del fotosegnalamento presso i locali della compagnia di Roma Casilina dove dopo l’arresto era stato successivamente trasferito.
Nel provvedimento di chiusa inchiesta il magistrato scrive che “le lesioni procurate a Stefano Cucchi – il quale, tra le altre cose, durante la degenza presso l’ospedale Sandro Pertini subiva un notevole calo ponderale, anche perché non si alimentava correttamente a causa e in ragione del trauma subito – ne cagionavano la morte“. In particolare, si legge nel provvedimento, la frattura scomposta della vertebra “S4 e la conseguente lesione delle radici posteriori del nervo sacrale determinavano l’insorgenza di una vescica neurogenica, atonica, con conseguente difficoltà nell’urinare, con successiva abnorme acuta distensione vescicale per l’elevata ritenzione urinaria non correttamente drenata dal catetere”.
“Voglio dire a tutti che bisogna resistere, resistere, resistere. Ed avere fiducia nella giustizia”, scrive ancora su Facebook Ilaria Cucchi che all’Adnkronos ha detto: “Sono commossa. Sono otto anni nei quali abbiamo dovuto ingoiare tanti bocconi amari, ma abbiamo resistito. Ora abbiamo finalmente davanti la verità: si parla di omicidio e di tutto il resto. Bene! Andremo avanti!”.
“Ci sono voluti sette anni ma ce l’abbiamo fatta. Sono emozionato, felice. Credo sia un messaggio importante per tutti: quando si sa di essere dalla parte del giusto, bisogna resistere, resistere, resistere e la verità pria o poi viene fuori”, ha detto all’Adnkronos l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi. “Ringrazio di cuore la famiglia Cucchi per la fiducia concessami. E ringrazio il procuratore Pignatone e gli investigatori per la bravura a indagare a 360 – ha aggiunto il legale – Ora faremo i conti in un’aula giudiziaria, di fronte la Corte d’Assise. Grazie a tutti”.
CUCCHI BIS: OMICIDIO, CALUNNIA, FALSO
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Re: CUCCHI BIS: OMICIDIO, CALUNNIA, FALSO
Stefano Cucchi, per il pm fu omicidio preterintenzionale
A otto anni dalla morte, finisce inchiesta bis aperta nel 2014. Accusati i carabinieri Di Bernardo, D'Alessandro e Tedesco, che lo arrestarono a Roma. Reato di calunnia e falso verbale di arresto per il maresciallo Mandolini, allora comandante, e Tedesco. Solo calunnia per Nicolardi
di CARLO BONINI e GIUSEPPE SCARPA
Stefano Cucchi, per il pm fu omicidio preterintenzionale
ROMA - Stefano Cucchi è morto per gli esiti letali del pestaggio che subì la notte del suo arresto. Non è morto "di fame e sete", non è morto "per cause ignote alla scienza medica", né di epilessia. E' stato un omicidio. Preterintenzionale. In cui decisiva è stata la mano e la responsabilità di chi lo aveva in custodia, i carabinieri allora in servizio nella stazione Appia. Gli stessi che per coprire la verità avrebbero accusato di quella morte degli innocenti che sapevano tali.
Otto anni dopo la sua morte in un letto del reparto di medicina protetta dell'ospedale Pertini di Roma (22 ottobre 2009), il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò chiudono la cosiddetta inchiesta bis (aperta nel novembre del 2014) sui responsabili del suo pestaggio e con l'atto di conclusione indagini contesta a tre dei carabinieri che lo arrestarono nel parco degli acquedotti di Roma - Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco - il reato di omicidio preterintenzionale.
Con loro, accusati di calunnia, il maresciallo Roberto Mandolini, allora comandante della stazione dei carabinieri Appia (quella che, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 aveva proceduto all'arresto) e i carabinieri Vincenzo Nicolardi e Francesco Tedesco. Per Mandolini e Tedesco, infine, anche il reato di falso verbale di arresto.
Con un cambio di imputazione (i carabinieri cui viene ora contestato l'omicidio erano stati a lungo indagati per lesioni personali aggravate, così come Mandolini e Nicolardi di una falsa testimonianza che ora diventa, appunto, calunnia) che aggrava la posizione degli indagati e soprattutto fuga il rischio incombente della prescrizione, comincia dunque una nuova storia. "Fu colpito dai tre carabinieri che lo avevano arrestato con schiaffi, pugni e calc*", scrivono Pignatone e Musarò. E le botte provocarono "una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale" che "unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell'ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte".
Una morte sino ad oggi senza responsabili - tre giudizi di merito, uno di primo grado e due di appello, oltre ad una pronuncia della Cassazione, hanno portato solo ad assoluzioni (definitive quelle degli agenti penitenziari in servizio nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma, confermate nei due giudizi di appello quelle dei sanitari del Pertini) - trova nelle solide acquisizioni di questa seconda inchiesta della Procura di Roma i presupposti per la celebrazione di un nuovo processo e per riscrivere da capo la storia del pestaggio e della morte di Stefano.
A partire da quanto accadde quella notte del 15 ottobre del 2009 - Stefano fu pestato nei locali della caserma Casilina, dove era stato portato per essere fotosegnalato - per proseguire con lo snodo chiave della vicenda sotto il profilo giuridico. L'esistenza cioè di un nesso di causa ed effetto tra le violenze subite dopo l'arresto (la lesione di due vertebre) e la morte, sei giorni dopo, nell'Ospedale Pertini.
Decisiva, in questo senso, la confusa e contraddittoria ultima perizia di ufficio (quella condotta dal direttore dell'Istituto di Medicina legale di Bari, Francesco Introna), depositata a inizio di ottobre dello scorso anno, che aveva infatti dovuto riconoscere per la prima volta in otto anni, pure in una contorsione logica e argomentativa, che "le fratture traumatiche delle vertebre" di Stefano "ben possono aver determinato una condizione di vescica neurologica" al punto tale che "la stimolazione del nervo vagale ad esso connessa può aver accentuato la bradicardia di Cucchi fino all'esito finale".
http://www.repubblica.it/cronaca/2017/0 ... 156206712/
A otto anni dalla morte, finisce inchiesta bis aperta nel 2014. Accusati i carabinieri Di Bernardo, D'Alessandro e Tedesco, che lo arrestarono a Roma. Reato di calunnia e falso verbale di arresto per il maresciallo Mandolini, allora comandante, e Tedesco. Solo calunnia per Nicolardi
di CARLO BONINI e GIUSEPPE SCARPA
Stefano Cucchi, per il pm fu omicidio preterintenzionale
ROMA - Stefano Cucchi è morto per gli esiti letali del pestaggio che subì la notte del suo arresto. Non è morto "di fame e sete", non è morto "per cause ignote alla scienza medica", né di epilessia. E' stato un omicidio. Preterintenzionale. In cui decisiva è stata la mano e la responsabilità di chi lo aveva in custodia, i carabinieri allora in servizio nella stazione Appia. Gli stessi che per coprire la verità avrebbero accusato di quella morte degli innocenti che sapevano tali.
Otto anni dopo la sua morte in un letto del reparto di medicina protetta dell'ospedale Pertini di Roma (22 ottobre 2009), il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il pm Giovanni Musarò chiudono la cosiddetta inchiesta bis (aperta nel novembre del 2014) sui responsabili del suo pestaggio e con l'atto di conclusione indagini contesta a tre dei carabinieri che lo arrestarono nel parco degli acquedotti di Roma - Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco - il reato di omicidio preterintenzionale.
Con loro, accusati di calunnia, il maresciallo Roberto Mandolini, allora comandante della stazione dei carabinieri Appia (quella che, nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 aveva proceduto all'arresto) e i carabinieri Vincenzo Nicolardi e Francesco Tedesco. Per Mandolini e Tedesco, infine, anche il reato di falso verbale di arresto.
Con un cambio di imputazione (i carabinieri cui viene ora contestato l'omicidio erano stati a lungo indagati per lesioni personali aggravate, così come Mandolini e Nicolardi di una falsa testimonianza che ora diventa, appunto, calunnia) che aggrava la posizione degli indagati e soprattutto fuga il rischio incombente della prescrizione, comincia dunque una nuova storia. "Fu colpito dai tre carabinieri che lo avevano arrestato con schiaffi, pugni e calc*", scrivono Pignatone e Musarò. E le botte provocarono "una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale" che "unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell'ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte".
Una morte sino ad oggi senza responsabili - tre giudizi di merito, uno di primo grado e due di appello, oltre ad una pronuncia della Cassazione, hanno portato solo ad assoluzioni (definitive quelle degli agenti penitenziari in servizio nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma, confermate nei due giudizi di appello quelle dei sanitari del Pertini) - trova nelle solide acquisizioni di questa seconda inchiesta della Procura di Roma i presupposti per la celebrazione di un nuovo processo e per riscrivere da capo la storia del pestaggio e della morte di Stefano.
A partire da quanto accadde quella notte del 15 ottobre del 2009 - Stefano fu pestato nei locali della caserma Casilina, dove era stato portato per essere fotosegnalato - per proseguire con lo snodo chiave della vicenda sotto il profilo giuridico. L'esistenza cioè di un nesso di causa ed effetto tra le violenze subite dopo l'arresto (la lesione di due vertebre) e la morte, sei giorni dopo, nell'Ospedale Pertini.
Decisiva, in questo senso, la confusa e contraddittoria ultima perizia di ufficio (quella condotta dal direttore dell'Istituto di Medicina legale di Bari, Francesco Introna), depositata a inizio di ottobre dello scorso anno, che aveva infatti dovuto riconoscere per la prima volta in otto anni, pure in una contorsione logica e argomentativa, che "le fratture traumatiche delle vertebre" di Stefano "ben possono aver determinato una condizione di vescica neurologica" al punto tale che "la stimolazione del nervo vagale ad esso connessa può aver accentuato la bradicardia di Cucchi fino all'esito finale".
http://www.repubblica.it/cronaca/2017/0 ... 156206712/
Lode a te