car89 ha scritto: ↑domenica 25 settembre 2022, 16:08
Allora proviamoci, ora che un po’ di tempo lo ho.
Ovviamente si tratta della mia opinione.
Il ragionamento di Tetris parte, più o meno, da un presupposto: il calcio appartiene alla collettività e di conseguenza l’accesso ai luoghi in cui il calcio viene giocato non può essere inibito (daspo) o limitato (tessera del tifoso, biglietti nominali etc.).
Ancor di più, la società che detiene il titolo sportivo solo formalmente appartiene a qualcuno, ma nella sostanza deve essere espressione della collettività e deve agire nei suoi interessi.
Per me questo ragionamento sconta un vizio di fondo: non tiene conto dell’ordinamento in cui il calcio è calato.
Perché a tutti piacerebbe che fosse come dice Tetris, ma nella sostanza, semplicemente, così non è e non può essere.
Allora, quanto a daspo e tessera del tifoso, per semplificare, ricordiamoci il contesto in cui questi provvedimenti sono stati emanati: risse, ferimenti, omicidi, di tifosi e forze dell’ordine.
Tutto questo non è, da un lato, tollerabile, e dall’altro cozza proprio con il presupposto del ragionamento di Tetris.
Un luogo pubblico è un luogo che appartiene alla collettività, ma ciò non significa che ciascuno può servirsene a proprio uso e consumo: posso farne uso nei limiti in cui il mio godimento non arreca danno o disturbo al godimento altrui.
Se la mia azione travalica questo limite, sono due le alternative: inibire l’accesso e la fruizione a tutti indistintamente o individuare i responsabili e punirli.
Se la tessera del tifoso è uno strumento eccessivo, e difatti con il tempo è stato limitato, identificazione e daspo sono indispensabili, perché tutelano la collettività nella fruizione di un impianto pubblico.
Mi riferisco ovviamente al daspo prefettizio, e non a quell’episodio del tifoso “daspato” dal Cosenza Calcio, che abbiamo già bollato come mera vendetta (senza saper né leggere e ne scrivere credo anche ne difettano i presupposti, perché se mi limito ad offendere qualcuno sto commettendo un reato, ma non penso che il regolamento d’uso dell’impianto vieti le ingiurie).
Mah, sul daspo ne possiamo disquisire quanto vuoi. Posto che tutti condanniamo - anche tu, ho letto- quello societario (applicato nella fattispecie da Guarascio ad un tifoso storico, anziano, in tribuna, mica un “facinoroso ultrà”) io trovo profondamente ingiusto ed iniquo nelle gravità delle limitazioni, quello utilizzato in ambito penale, poiché pone in essere privazioni della libertà personale spesso non fondate sulla commissione di reati, ma su mere presunzioni di una pericolosità ontologica (introdurre uno striscione o un fumogeno, tanto per fare un esempio). Hanno comminato daspo tante volte col semplice obiettivo della deterrenza, sparando sul gruppo, senza che - in molti casi - vi fossero violazioni alcune. Così facendo si è finito per attribuire poteri inediti per la tutela della sicurezza negli stadi sottraendo a cittadini italiani diritti costituzionali fondamentali (restrizione della libertà senza un giudizio). In questo quadro di criminalizzazione imperante, potenziamento dei poteri punitivi e di uno smantellamento progressivo dei diritti e delle garanzie costituzionali, trova terreno fertile l’abuso in divisa delle “forze dell’ordine”, conseguenza di un assetto normativo che lascia spesso ampia discrezionalità ai tutori dell’ordine, non ponendo in essere quelle minime forme di tutela (come potrebbero essere, ad esempio, i numeri identificativi sulle divise degli agenti o un reato di tortura degno di questo nome) che porterebbero quantomeno ad una maggiore tutela del cittadino dinanzi a chi detiene, per lo Stato, il monopolio della forza, finendo talvolta, per abusarne. Meglio non incapparci, perché se ci si finisce dentro (ed a me a Castel Rigone, al seguito dei Lupi, qualche anno fa stava per accadere, senza che avessi fatto assolutamente alcunché) diventa un vero e proprio girone dantesco. Per quanto riguarda le violazioni alla legge, i reati veri e propri, beh, per quello c’è un codice di procedura penale e dei giudici che dovrebbero svolgere il proprio lavoro. Altro che daspo.
car89 ha scritto: ↑domenica 25 settembre 2022, 16:08
Venendo al secondo argomento, dobbiamo considerare che il titolo sportivo viene affidato al sindaco per una mera finzione giuridica (a partire dal lodo Petrucci in poi) per salvaguardare l’interesse pubblico, che evidentemente la legge accorda (in modo opinabile) a una squadra di calcio.
Ora, il sindaco non agisce in nome proprio, bensì è espressione della collettività che lo ha eletto e la rappresenta, per cui si presume che agisca nell’interesse della collettività che rappresenta.
Se affida quel titolo sportivo al soggetto giuridico X, quel soggetto giuridico è pienamente legittimato ad agire sfruttando quel titolo sportivo, trovando come unico limite la legge.
Non esiste quindi un interesse pubblico nella gestione della squadra di calcio locale (mentre esiste nella sua esistenza per via del titolo sportivo affidato al sindaco, e qui per me risiede il vizio).
Se esistesse le società dovrebbero per forza avere una qualche forma pubblica.
Anche perché, altrimenti, quale sarebbe la platea che potrebbe sindacare sull’operato di chi gestisce la società? La categoria dei tifosi non esiste e non può esistere. Chi sono? Come si esprimono?
Al più la legge dovrebbe affidarlo alle amministrazioni, ma dovremmo concepire le società di calcio come società in house.
Oppure dovremmo avere sistemi di azionariato popolare, dove la partecipazione sarebbe affidata ai soci attraverso modelli partecipativi codificati.
Anche perché, ragionandoci, una gestione societaria che non leda gli interessi della collettività dovrebbe essere improntata alla minor spesa e all’efficienza, che significa equilibrio tra costi ed obiettivi.
E io non ho mai visto tifosi lamentarsi perché un club spende a più non posso e poi fallisce, bensì solo quando quel club spende meno di quello che i tifosi vorrebbero spendesse.
Quanto sin qui detto significa che i tifosi devono restare inerti? no.
I tifosi hanno il diritto di criticare, civilmente, e soprattutto, avendo un rapporto con il club simile a quello che un cliente ha nei confronti di un qualsiasi esercizio commerciale, di non investire in alcun modo nel club.
Oppure, se si ha notizie di illeciti, al pari di qualunque cittadino hanno diritto a denunciarli alle autorità giudiziarie.
Questa è chiaramente materia delicata, perché chi potrebbe delimitare il confine tra corretta ed equilibrata gestione di una Società, ovvero stabilire che la stessa sta gestendo pro domo sua e non nell’interesse della collettività? E soprattutto, pur assodando che tale equilibrio non vi fosse, quale potrebbe/dovrebbe essere lo strumento coercitivo per far sì che si ritorni sui binari degli interessi comuni, del privato (Società) e del pubblico (tifosi/comunità)? Potrebbe/dovrebbe il sindaco avere il potere di revocare la concessione del titolo sportivo? Materia spinosa. Sicuramente la leva politica in questi casi, se vi fosse realmente da parte delle istituzioni una cura dell’interesse della collettività, potrebbe essere in qualche modo esercitata. Ma con quale liceità ed entro quali confini? Perché dall’altra parte c’è un interesse privato, esercitato su una realtà che ha enormi ricadute (anche di immagine) sull’interesse pubblico.
car89 ha scritto: ↑domenica 25 settembre 2022, 16:08
Approfitto della lungaggine per fare una critica costruttiva al forum.
A volte noto che si tende a semplificare e a dividere le opinioni in buone e cattive, pro Guarascio o contro Guarascio, pro questo e contro quello, lecchini e tagliaturi.
Se qualcuno ha letto Così parlò Bellavista, un po’ come De Crescenzo descriveva la difficoltà del dibattito politico, dove o si era di destra o di sinistra e tutte le altre opinioni diverse erano bollate come qualunquiste.
Se ci si sforza di dialogare argomentando, come comunque qui spesso avviene, possono nascere discussioni interessanti che possono accrescere la consapevolezza di ciascuno.
Le discussioni in questo forum spesso sono interessanti ed approfondite. Tuttavia, il clima di veleni che si è venuto a creare, è difficile generi tranquillità e lucidità di giudizio, anche perché la gente è esasperata da oltre undici anni di mala gestio di una Società che, abbiamo detto - è vero - essere legittimamente di diritto privato, ma la cui gestione ha enormi ricadute pure sull’interesse della collettività, perché quest’ultima è rappresentata dal Club in Italia attraverso nome, colori, titolo sportivo ed utilizzo di infrastrutture che sono di proprietà pubblica (come lo stadio). C’è una dignità da salvaguardare e credo che la gente non ne possa più di vedere la propria squadra del cuore perennemente trattata come l’ultima della classe, quella che improvvisa senza programmazione, che si salva per il rotto della cuffia, all’ultima giornata, o grazie alla pandemia, oppure perché viene riammessa, quindi conserva la categoria per demeriti altrui, piuttosto che per meriti propri. Ed a seguito di ciò sentire il presidente e gli sgherri al suo soldo (sui social) affermare che il Cosenza programmi e sia una Società modello. In buona sostanza, la parte sana della tifoseria non ne può più di argomentazioni che urtano il buon senso di chi ha un po’ di grano in zucca, ma soprattutto non ha conflitti d’interesse, quindi se deve sparare a zero sul presidente indegno che ci ritroviamo, lo fa senza filtri. Se i presupposti sono questi, allora sono d’accordo con te, le discussioni possono essere interessanti ed aumentare la consapevolezza. Difficile in questo contesto apprezzare le sfumature e non assistere ad un clima medioevale da guelfi e ghibellini.
Ma perché non possiamo essere semplicemente dei tifosi sereni? Ogni giorno ce n'è una nuova! Cosenza, infinita... sofferenza!